Quando si affronta il tema delle avventure grafiche, il popolo videoludico ricorda mostri sacri come Monkey Island, Simon the Sorcerer o Grim Fandango. L’evoluzione di questo genere è stata lenta ma inesorabile, uscendo da quei “binari” che lo contraddistinguevano e arrivando ai giorni nostri completamente stravolto. Se in meglio o peggio questo dipende dai gusti dei singoli videogiocatori. Ciò che però è assolutamente inconfutabile è l’epicità raggiunta da produzioni come Heavy Rain, Beyond Two Souls o Fahrenheit: gli attuali eredi delle produzioni sopra citate.
I titoli Quantic Dream hanno stravolto la concezione di avventura grafica, facendola evolvere da videogioco a film interattivo all’ennesima potenza. I titoli di David Cage, e quello che andremo a recensire, non sono propriamente dei videogiochi puri come siamo abituati a vederli, ma rappresentano dei veri e propri film giocabili, con una trama (ed una regia) quasi perfetta e tutta una serie di elementi che li rendono imperdibili per chiunque ami questo genere.
Se ciò che cercate è l’azione pura, potete anche chiudere la pagina, senza andare oltre. Se invece amate gli horror, le avventure grafiche, gli slasher /splatter e le trame intricate…bene! Preparate gli zaini, perché abbiamo una funivia da prendere. La funuvia per l’inferno. La funivia di Until Dawn.
La paura fa 110 e lode!
Lo ammetto, la mia regola per le avventure grafiche è da sempre ” Se non è Quantic, non è buono”. Questa regola, per fortuna, negli ultimissimi tempi ha perso il suo valore. Nonostante David Cage sia un’autorità in questo campo, titoli come Murdered: Soul Suspect hanno cercato di innovare la formula, portandola più verso tinte action. Tuttavia mancando di coraggio, Soul Suspect è risultato un titolo da giocare, ma senza stupire. Quando Sony annunciò Until Dawn, sviluppato dai Supermassive Games, la prima cosa a cui pensai fu esattamente ad una lasagna cinese spacciata per italiana. Questo perchè la mia visione, per questo genere, era lettaralmente tarata sui titoli Quanti Dream. Dopo averlo visto in azione su PS4, mi sono cosparso il capo di ceneri.
Come al solito non ci dilungheremo sulla trama, che in questo gioco ricopre un ruolo assolutamente fondamentale: un gruppo di ragazzi si ritrovano a passare una settimana bianca in una baita in montagna. A causa di uno scherzo non troppo carino nei confronti di una delle ragazze, a rimetterci la pelle saranno due sorelle. Un anno dopo, lo stesso gruppo di ragazzi si ritrova nello stesso chalet, per commemorare le defunte amiche. Mettici una baita raggiungibile solo tramite funivia, una montagna considerata sacra dai Nativi Americani e un pazzo ricercato in giro per i boschi: quello che si ottiene è un mix di colpi di scena, privo di clichè horror, jump scare e atmosfera da urlo.
La trama è sviluppata come se fosse una serie televisiva, sitle Alan Wake, per intenderci. A fine capitolo avremo una sezione “psicologica” e subito dopo un recap degli episodi precedenti.
Gli eroi che ci ritroveremo a guidare nei meandri delle varie location sono molteplici. Ognuno di loro sarà caratterizzato da diversi “elementi” visualizzabili mettendo il gioco in pausa. E ognuno di loro sarà sempre sul filo del rasoio. Ogni vostro movimento, ogni vostra singola azione, scelta, andrà a comporre un puzzle che potrà giocare a vostro vantaggio, o evolversi in morte certa. Sappiate che per godere del miglior finale possibile dovrete far sopravvivere tutti e otto i personaggi. E la cosa diventa assai difficile: scordatevi di salvarli tutti durante la prima run.
Le scelte non sono mai ovvie, così come la trama stessa. Chiunque abbia giocato a Heavy Rain sa benissimo che i colpi di scena sono all’ordine del gioco. Stessa cosa in Until Down: non appena credete di aver fatto la scelta giusta…boom! Per far sì che tutti i personaggi sopravvivano, bisognerà darci dentro con la raccolta di indizi e Totem. Senza aver completato la raccolta di questi oggetti, scordatevi di poterli salvare tutti. E il perché lo scoprirete solo giocando. Perché non è possibile salvare tutti i protagonisti alla prima run? Perché l’inconsapevolezza di ciò che si cela dietro l’angolo vi farà cercare la prima via d’uscita dal luogo in cui siete, per poter tirare una boccata d’aria.
Questa frenesia porta a non esplorare per bene gli ambienti, e la formula di gioco non permette di tornare sui propri passi se si attiva una particolare fase del capitolo che stiamo vivendo. Quindi il nostro consiglio è quello di viversi appieno l’avventura la prima volta, dando il meglio. Per poi ricominciare. Sì, ricominciare. Perché Until Down, pur non disponendo di finali molteplici, ha un elevato tasso di rigiocabilità, anche perchè non esiste il game over. O meglio, se muore un personaggio, passerete subito all’altro e alle sue vicissitudini. Il game over arriverà solo se tutti i membri periranno nel corso dell’avventura. Dieci capitoli, per altrettante ore di paura.
Insomma? Si gioca?
Ok la trama, ma le parti giocate? Until Dawn mette in conto anche questo, e lo fa con doverosa perizia. Come detto pocanzi, ogni giocatore sarà chiamato a fare la sua parte all’interno dell’avventura. Tutto questo attraverso gli ambienti che esplorerà e la raccolta di indizi che andranno a comporre, a mano a mano, l’intero puzzle. I Quick Time Event sono onnipresenti. Sarà spessissimo richiesto di premere al momento giusto i tasti presenti sul controller. A differenza dei giochi Quantic Dream, però, durante i Quick Time Event, i tasti da premere saranno dislocati solo tra cerchio, quadrato, X e triangolo per le azioni a schermo. Gli stick analogici invece sono adibiti per il movimento e la mira di armi e oggetti, azionando poi la relativa azione dal tasto R2. Sarà quindi una “passeggiata” tra momenti di adrenalina pura, calma apparente e tensione assidua. Sappiate però che i Quick Time Event che si attiveranno durante alcune frasi cruciali del gioco, saranno assolutamente crudeli. Sbagliare anche solo una volta significa perdere il personaggio che stiamo guidando. La funzione assegnata al sensore di movimento del DualShock 4 sarà il vero fulcro in alcune fasi. Se ci nasconderemo, sarà importante restare fermi e immobili per non farci scoprire. In molti casi, muoversi significa morire, quindi occhio.
A rendere le cose più difficili c’è l’assenza di qualsiasi avvertimento, in simile meccanica. Nessuno vi avvertirà. Vi ritroverete a non muovervi nel bel mezzo di una scena, facendo molte volte fallire l’obbiettivo. Gli sviluppatori sono stati davvero cattivi, sotto questo punto di vista, offrendo come unico aiuto i totem premonitori. Ma anche di questo non vogliamo dirvi nulla, perché sarebbe come azzoppare l’intera avventura. Se per alcuni il sistema scelto dai Supermassive Games risulta essere eccessivamente votato a punire gli errori dei videogiocatori, a noi invece risulta essere un incentivo assoluto a dare sempre il meglio di se stessi durante l’avventura. E questo lo si capisce dal The Butterfly Effect, l’effetto farfalla: ogni azione svilupperà la trama in modo sempre diverso, modificando persino le relazioni tra i personaggi in gioco. Tutto avrà un peso, e tutto sarà labile, come il battito d’ali di una farfalla. Se l’eccessiva severità dovesse essere stilata come fattore negativo in Until Down, così dovrebbe anche essere per i vari Souls. Ci sentiamo quindi di elogiare tale sistema, applaudendo l’intero comparto ludico offerto da Supermassive Games sotto questo punto di vista.
Ciak, grafica, sonoro: si gira!
Gli attori reali più famosi che recitano in Until Dawn grazie al motion capture sono Hayden Panettiere, Rami Malek e Peter Stormare. La loro interpretazione è impeccabile, e più che buona invece quella degli altri attori presenti. Ma spiccare sopra tutti c’è proprio lui, Peter Stormare. Il suo ruolo è quanto mai credibile, carismatico ed enigmatico. A voi l’onore di scoprire il suo ruolo, apprezzandolo appieno. Il comparto tecnico che ruota attorno ad Until Dawn è davvero ben caratterizzato e strutturato. Con texture in alta definizione sempre all’altezza,una buona fluidità di gioco a 30 fps e ambienti interni ed estrerni vari e curati sin nei minimi dettagli. Ottimi anche gli effetti di luce ed ombra, così come gli effetti particellari. I modelli poligonali dei personaggi sono tutti estremamente dettagliati, ed è impossibile muovere una qualsiasi critica se non in alcune animazioni a volte troppo innaturali. Buona la colonna sonora, sempre adatta ad ogni situazione e capace di regalare tetre emozioni, così come l’effettistica ambientale, ancor più terrificante se ascoltata in cuffia o su un buon impianto Dolby.
Quindi questo gioco è perfetto? No!
Purtroppo di fronte a tanti pregi, Until Dawn ha anche dei difetti ben evidenziati. Pur essendo interamente doppiato in italiano, la recitazione all’interno del contesto si rivela essere solo buona. Vi consigliamo quindi di cominciare a giocare direttamente in lingua originale con i sottotitoli, così da cogliere ogni sfumatura della scena che vivrete. Si aggiungono sporadici cali di framerate in alcune situazioni e una durata troppo breve per un titolo di una simile portata. Lo abbiamo terminato infatti, esplorando per bene ogni ambiente e raccogliendo quanti più oggetti possibili, in poco più di 9 ore. Nonostante l’alta rigiocabilità, avremmo gradito una longevità ben oltre le 10 ore.
Pro
|
Contro
|