The Legend of Zelda: Breath of the Wild – Recensione
Se Nintendo Switch ha spaccato perfettamente a metà l’opinione del popolo di internet – tra chi sostiene che sia l’ennesima console Nintendo dedicata ad un pubblico di casual gamer, e chi ne apprezza l’innovazione – uno dei suoi titoli di lancio ha messo d’accordo (praticamente) tutti: The Legend of Zelda Breath of the Wild.
La saga di Zelda raramente ha toppato un capitolo, ma bisogna ammettere che sebbene tutti apprezzassimo i nuovi capitoli che uscivano di anno in anno, questi non reggevano il paragone con le glorie del passato. Prendiamo ad esempio Skyward Sword, capitolo per Wii pregno della magia di The Legend of Zelda, che come i suoi predecessori innovava su qualche punto cardine del gameplay (in quel caso nel sistema di combattimento), ma che se paragonato a vecchie glorie come Ocarina of Time o A Link to the Past, sembrava deficitario di qualcosa. Poi Nintendo ha sfornato Breath of the Wild per Switch e Wii U, un titolo che non presenta praticamente alcuna innovazione in campo videoludico, eppure non solo fa sfigurare il precedente capitolo Skyward Sword, ma si va a porre di diritto tra i migliori capitoli di The Legend of Zelda, e non solo. Ma procediamo con ordine.
Una principessa da salvare
Se parliamo di The Legend of Zelda: Breath of the Wild dal punto di vista della trama, il gioco non ha molto da offrire, o quantomeno nulla che non si sia già visto almeno una decina di volte. Ganon è tornato a minacciare il regno di Hyrule, e Zelda, insieme ai suoi campioni (tra cui Link) tenta di fermarlo, senza riuscirci. Cento anni dopo, Link si risveglia in un sacrario senza la sua memoria, ma ben presto scoprirà che Zelda è riuscita a contenere Ganon negli ultimi cento anni, e ora la sua forza sta venendo meno. Il compito di Link sarà, ovviamente, quello di salvare la principessa e sconfiggere Ganon.
Come detto, ad eccezione della questione della perdita della memoria di Link (ottima scelta di game design, come vedremo tra poco), la storia è quanto di più classico nel topos videoludico. Vanno però sottolineati un paio di aspetti: per la prima volta, le cutscene sono doppiate in svariate lingue, tra cui anche l’italiano, ed offrono non solo un’ottima recitazione, ma anche una regia notevole (e questo non si era mai visto nella saga prima d’ora). In secondo luogo, anche la classicità della storia proposta è perfettamente coerente con la saga, poiché come abbiamo appreso in Skyward Sword, il triangolo Zelda-Link-Ganon si ripropone ciclicamente all’interno della storia di Hyrule, e non c’è modo di interrompere questo “eterno ritorno” una volta per tutte (o, per lo meno, nella saga non è ancora emersa una soluzione).
La storyline principale (piccolissima porzione di ciò che il gioco offre) porterà Link in numerose città popolate dalle razze ben conosciute dai fan della saga: Zora, Goron, Rito, Gerudo, Sheika e Hylia. Sostanzialmente, per poter sconfiggere Ganon, è sufficiente superare i quattro dungeon che il gioco propone, ma sarà praticamente impossibile riuscire a non perdersi nella enorme mappa di gioco, dalle potenzialità quasi infinite.
Questi quattro dungeon sono affrontabili in qualsiasi momento del gioco, a discrezione del giocatore. Il tutto è stato studiato per lasciare al giocatore una maggiore libertà, e per questo motivo la questione della perdita della memoria di Link è stata geniale: se il giocatore vuole saperne di più, può sbloccare i ricordi di Link liberamente, in una missione completamente scollegata da quella principale.
Un mondo vivo
Tra piane sconfinate, alte montagne e deserti tempestosi, in ogni secondo di gioco ci si rende conto che il mondo è vivo. Basta fermarsi un attimo per scorgere stormi di uccelli, insetti che volano nelle vicinanze, animali che si mantengono a distanza da Link, o lucertole che gli corrono tra i piedi. Anche la profondità di campo offerta dal gioco lascia senza parole: se arrampicandoci su una torre scorgiamo in lontananza, ad esempio, uno stagno, possiamo essere sicuri che non ci saranno muri invisibili a bloccare il nostro cammino: se saremo abbastanza forti da superare le avversità, potremo tuffarci in quello stagno e magari scoprire qualche scrigno lì nascosto.
E non ho inserito “superare le avversità” per caso: ci troviamo sicuramente di fronte al The Legend of Zelda più difficile. Il sistema di combattimento ricorda molto quello di Twilight Princess e Ocarina of Time, con l’unica grande differenza del perry: usando lo scudo proprio un momento prima dell’impatto dell’attacco nemico, si avrà l’opportunità di accedere ad un contrattacco in slow motion. Altra grossa introduzione è la distruttibilità degli strumenti: armi, spade e scudi si deterioreranno dopo alcuni colpi e li perderemo per sempre. Questo contribuisce a tenere sempre alta l’attenzione per cercare nuovi strumenti e ci spronerà ad abbattere nemici sempre più forti per rubare loro le armi.
La difficoltà del gioco (che sotto questo punto di vista è stato addirittura paragonato a Dark Souls!) non è data solo dai nemici, ma anche dalle condizioni atmosferiche. Dovremo cambiare il vestiario di Link a seconda della temperatura per evitare che subisca danni, e non si scherza neanche con la pioggia: se il gioco offre la possibilità a Link di arrampicarsi praticamente ovunque con un novello Ezio Auditore (a patto di non terminare la barra del vigore, come vedremo in seguito), con la pioggia Link, semplicemente, scivolerà. Se c’è un temporale, invece, è abbastanza sconsigliato portare armi metalliche. Provare per credere. In entrambe le situazioni, a Link sarà impossibile accendere fuochi. Perché dovrebbe farlo? Per riscaldarsi, ad esempio, o per cucinare. Sì, perché gli animali citati prima (come volpi, cervi, cinghiali, uccelli ma anche lucertole, lumache, e la lista continua) possono essere cucinati, così come le mele che potremo ottenere arrampicandoci sugli alberi, o le decine e decine di altri ingredienti facilmente reperibili nel mondo di Hyrule. Cucinando si potranno ottenere pozioni per aumentare attacco, difesa, furtività, ecc…, ma anche piatti per recuperare salute e vigore.
Il vigore era già stato introdotto in Skyward Sword, ma Breath of the Wild rivede il concetto limandolo. Il vigore è la stamina di Link, che viene consumata quando corre, si arrampica, nuota o usa la paravela (una sorta di paracadute che gli permette di planare dai luoghi alti). Vigore e salute possono essere aumentati completando i sacrari, mini-dungeon sparsi per l’enorme mappa di gioco, che offrono enigmi a volte anche più complessi di quelli presenti nei quattro dungeon principali.
Un gioco (quasi) perfetto
Alla luce di quanto detto, è quasi doloroso dover indicare i difetti di un gioco come Breath of the Wild. Se graficamente non gli si può muovere alcuna critica (la grafica è semplice e in cell-shading, ma dannatamente ispirata artisticamente), dal punto di vista delle performance qualcosa da migliorare c’è. Sia su Wii U che su Switch (in particolare nella modalità docked) in vari punti del gioco si notano cali di framerate. In particolare, i frame scendono quando si esplorano città con parecchi personaggi nelle vicinanze. Nulla che rovini particolarmente l’esperienza di gioco. Il caso peggiore si verifica affrontando i Grublin (nemici molto alti): quando questi vengono fatti volare all’indietro si può osservare addirittura qualche piccolo freeze del gioco, che si blocca completamente per poi ripartire dopo qualche istante (la prima volta, lo ammettiamo, abbiamo pensato si fosse rotta la console).
Inoltre, sebbene la musica nel gioco non sia affatto criticabile, si tratta per lo più di arrangiamenti di brani storici della saga (provenienti soprattutto da Ocarina of Time).
The Legend of Zelda: Breath of the Wild è un capolavoro, senza se e senza ma. È praticamente impossibile elencare tutto ciò che è possibile fare nel gioco, e siamo rimasti veramente impressionati dalla cura con cui Nintendo abbia confezionato il mondo di Hyrule e lo abbia dotato di una fisica così accurata e coerente. Siamo veramente tentati dal dare a questo gioco un bel 10 tondo come in tanti hanno fatto prima di noi, ma la presenza di un difetto come quello dei cali di framerate (seppur così banale e di poco conto) rappresentano una macchiolina indelebile su un curriculum altrimenti perfetto. D’altro canto, dare un voto inferiore a quello dato sarebbe stato un furto. Ben fatto Nintendo: Breath of the Wild è già nell’olimpo del mondo videoludico.